UNA POSSIBILE ANALISI NEUROSCIENTIFICA DELLA DISABILITA’

Come definire la disabilità? quale può essere un’analisi dal punto di vista neuropsicologico?

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) la disabilità è:

la conseguenza o il risultato di una complessa relazione tra la condizione di salute di un individuo, i fattori personali e i fattori ambientali che rappresentano le circostanze in cui vive

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Credits: Corriere.it

Proprio l’OMS pubblicò nel 1999 la “Classificazione Internazionale delle Menomazioni, delle Attività Personali e della Partecipazione Sociale” in cui si distinguevano tre concetti importanti che caratterizzano il processo morboso:

  • Menomazione: la sua esteriorizzazione;
  • Oggettivazione: limitazioni di qualità e durata che una persona subisce a qualsiasi livello di complessità a causa di una menomazione;
  • Conseguenze Sociali: non più handicap o svantaggio, ma diversa partecipazione sociale.

Nel 2001 l’OMS stese un documento, cui parteciparono 192 governi, denominato Classificazione Internazionale del Funzionamento, Disabilità e Salute (ICF, 2001). Il suo scopo è quello di descrivere lo stato di salute delle persone in relazione al loro ambiente esistenziale al fine di cogliere le difficoltà che nel contesto socio-culturale di riferimento possono causare disabilità. La disabilità diventa con questo documento “una condizione di salute in un ambiente sfavorevole”.

Ho deciso di partire nella nostra riflessione utilizzando questa documentazione ufficiale per chiarire quanto la disabilità possa essere un concetto ampio e di difficile definizione ed analisi per una singola disciplina. Per rendere la nostra discussione più chiara ho deciso di cercare di rimanere fedele alle tre componenti individuate dall’OMS portando due esempi di malattie che portano disabilità molto diverse tra loro e di analizzarle anche in un contesto neuropsicologico.

Quando si parla di dis-abilità la nostra mente richiama la perdita di una qualche abilità. Cosa succede a livello cerebrale quando la disabilità non ha solo una causa fisica?

Come  primo esempio ho deciso di portare quello della Paralisi Cerebrale. Questa può essere definita come “un disordine del movimento e della postura derivante dalla lesione di particolari aree cerebrali” (Fennel et al., 2001). Esistono tre principali tipologie di Paralisi Cerebrale:

  1. Paralisi Spastica: disfunzione delle aree cortico-spinali deputate all’aumento del tono muscolare, solitamente è bilaterale, ma nella maggior parte dei casi colpisce più frequentemente gli arti inferiori rispetto a quelli superiori. Questa particolare tipologia di paresi colpisce tra il 66-82% dei pazienti paretici;
  2. Paralisi Extrapiramidale: colpisce i Gangli della Base e delle Aree Extrapiramidali deputate al controllo dei comportamenti automatici ed involontari. Si manifesta con movimenti e postura anormali e colpisce dal 5-22% dei pazienti con paresi;
  3. Paralisi Ipotonica: può essere portata da un tardivo sviluppo cerebellare che porta ad ipotonia muscolare e difficoltà nell’esecuzione di movimenti rapidi.

Questo esempio permette di capire come la menomazione vada ben oltre quello che ci viene trasmesso con il pensiero comune. Ogni patologia che ci si presenta davanti agli occhi può avere le cause più disparate e partire dai nostri centri del comando senza che il corpo vi si possa opporre.

In questo specifico caso la menomazione è il disordine del movimento; l’oggettivazione è l’impossibilità di muoversi liberamente, di accedere a locali, mezzi e strutture non adeguatamente attrezzati, il non poter mangiare, bere, scrivere e giocare come molti fanno; le conseguenze sociali sono l’emarginazione, le difficoltà in famiglia, diverse modalità di interazione e integrazione.

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Credits: cranioscaraleeoltre.it

La seconda patologia che desidero analizzare con voi è il Disturbo dello Spettro Autistico (DSA). Vorrei iniziare questo approfondimento considerando come la sopravvivenza umana sia strettamente collegata alla capacità di relazionarsi con gli altri, ma anche di riconoscersi come esseri separati (Deceti and Sommerville, 2003). E’ proprio l’interazione con l’altro a permettere la comprensione della prospettiva altrui, l’automonitoraggio e l’autoregolazione e, proprio a tale proposito la “Teoria del Social Embodiment” sottolinea come: postura, mimica facciale ed elementi di comunicazione implicita giochino un ruolo fondamentale nel processamento delle informazioni sociali.  A livello neuropsicologico dove avviene la percezione e l’ideazione dell’azione sociale? Innanzitutto l’emisfero destro del nostro encefalo è sicuramente fondamentale con particolare attenzione a:

  • Aree temporo-parietali: importanti per l’analisi facciale (face recognition);
  • Aree fronto-parietali: importanti pe il riconoscimento delle parti del corpo, la loro lesione porta al loro mancato riconoscimento (asomatoagnosia);
  • Aree frontali: importanti per il processamento delle informazioni autobiografiche.

Come queste brevi considerazioni si allacciano all’autismo e al nostro tema principale?

La menomazione più evidente in tutti i pazienti affetti da Disturbo dello Spettro Autistico (DSA) è una mancata capacità di comunicare e comprendere l’altro ad ogni livello. Questa mancata capacità è portata da disfunzioni nelle capacità precedentemente elencate e può essere molto aggravate da sintomi collaterali come difficoltà nel linguaggio, condotte ossessive e sbalzi d’umore che portano a conseguenze sociali come l’emarginazione. Dapretto et al.(2013) eseguì uno studio su pazienti con autismo ad alto funzionamento e soggetti non affetti da alcuna patologia. I partecipanti vennero sottoposti ad una Risonanza Magnetica Funzionale (fMRI) mentre osservavano dei volti con diverse espressioni facciali. Alcune aree cerebrali si attivavano in entrambi i gruppi: area visiva, area motoria e premotoria (parietale) e amigdala (centro delle emozioni); due in particolare le differenze nei pazienti con ASD:

  1. la mancata attivazione dei neuroni specchio, collocati nelle zone frontali e parietali, e che si attivano quando un individuo compie un’azione e quando si osserva la medesima azione compiuta da un altro soggetto;
  2. un’attivazione delle aree precedentemente descritte in modo unilaterale e non di entrambi gli emisferi come nei soggetti non ASD.

Queste problematiche hanno come oggettivazione la mancata interazione, difficile integrazione in contesti scolastici e lavorativi, difficoltà familiari e minore o totale assenza di autonomia.

Credits: mypersonaltrainer.it & ifioridibach.com

Portando questi due esempi ho voluto sottolineare come la disabilità non sia solo fisica, come le cause d’insorgenza possano essere molte e tutte diverse, e come la disabilità, nonostante sia un concetto ampio, possa essere comunque capito in tutte le sue sfaccettature, anche ad un livello profondo come nel caso delle neuroscienze.

Dott.ssa Ilenia Levorato

 

Bibliografia
Deceti, J., Sommerville, J.A. (2003). Shared  representations between self and other: a social cognitive neuroscienze view. Social Cognitive Neuroscience.
Depretto, M., Davies, M.S., Iacoboni, M. (2013). Understanding emotions in others: mirror neuron dysfunction in children with autism spectrum disorders. Natural Neuroscience.
Fennel, E.B., Dikel, T.N. (2001). Cognitive and Neuropsychological Functioning in Children With Cerebral Palsy.
Fondazione ASPHI Onlus e Politecnico di Torino (2012). Introduzione alla disabilità
Hamilton, A.F.C. (2008). Emulation and mimicry for social interaction: A theoretical approach to imitation in autism. Quarterly Journal of Experimental Psychology.
OMS, Decima Revisione della Classificazione Internazionale delle sindromi e dei disturbi psichici
e comportamentali (ICD-10), Masson, Milano, 1992.
OMS, Classificazione Internazionale del funzionamento e delle disabilità, ICIDH-2, Bozza Beta-2,
versione integrale, Erickson, Trento, 1999.
OMS, Classificazione internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute (ICF),
Erickson, Trento, 2001.

CBT e DISABILITA’

Secondo uno studio del Censis del 2014, la disabilità in Italia conta circa 4,1 milioni di persone, il 6,7% della popolazione e si stima ne coinvolgerà 4,8 milioni nel 2020. Questa situazione può riguardare diverse sfere dell’individuo, ad esempio: la salute fisica, la disuguaglianza, le risorse economiche, il diritto all’istruzione. In particolare, in questo articolo, ci dedicheremo alle modalità di intervento cognitivo-comportamentali nelle persone con disabilità  intellettiva che ha una prevalenza dell’1% nella             popolazione mondiale.

 

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Foto credits: http://www.informazionequotidiana.it

Gli studiosi stanno ancora cercando di identificare questa sindrome, sembra comunque che questa sia eterogenea, cioè derivante da diverse cause, ad esempio genetiche o dalla conseguenze di traumi cranici. La disabilità intellettiva presenta diverse caratteristiche che si manifestano in sintomi quali: difficoltà nel linguaggio, deficitario sviluppo della personalità e alterazioni della condotta.

Secondo il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali versione V, DSMV (American Psychiatric Association, 2013), la disabilità intellettiva, appartenente al gruppo dei disturbi neuroevolutivi, è determinata da tre criteri:

 

  1. Deficit delle funzioni intellettive

Riguarda le capacità mentali generali,ad esempio: pensare in modo astratto, ragionare, apprendimento scolastico.

Questa abilità viene valutata tramite i cosiddetti test psicometrici di intelligenza; il risultato ottenuto, il quoziente intellettivo deriva dal confrontato con un gruppo avente simili caratteristiche demografiche e culturali.

  1. Deficit del funzionamento adattivo

Riguarda la non adeguatezza per età, contesto socio-culturale e ambientale dei livelli di sviluppo e autonomia. Ad esempio coinvolge: le abilità comunicative, la partecipazione alla vita sociale, la mancata indipendenza a scuola e/o al lavoro.

Il livello di funzionamento adattivo distingue la gravità della patologia in: lieve, medio, grave e profondo determinando il livello di supporto richiesto.

Questa abilità viene valutata a seguito di una valutazione clinica da parte dell’esaminatore e di misurazioni psicometriche sull’intervista effettuata al paziente stesso e alla sua famiglia con forte riferimento al contesto.

  1. Il momento dell’esordio

Questo avviene nell’età dello sviluppo indipendentemente dalla causa scatenante.

 

Altri disturbi mentali possono essere presenti in comorbilità con una probabilità di tre o quattro volte maggiore rispetto alla popolazione generale. Questo significa che assieme alla disabilità intellettiva possono comparire con una probabilità tra il 25 e il 40%: disturbi da deficit di attenzione/iperattività, disturbi depressivo e bipolare, disturbi d’ansia, disturbi dello spettro autistico e disturbi del controllo degli impulsi. E’ importante identificare anche questi sintomi che possono variare il quadro clinico e anche il modo in cui approcciarsi al paziente sia in valutazione che in trattamento. Ad esempio, se il paziente presenta un’importante alterazione del tono dell’umore il percorso va ridimensionato in modo da non aggravare ulteriormente questo aspetto.

Studi sugli adulti con disabilità intellettiva, in letteratura, sono presenti in quei pazienti che iniziano un percorso di intervento cognitivo-comportamentale a seguito di una diagnosi di depressione, ansia e/o disturbo comportamentale compresente; l’obiettivo è di trattare i disturbi emotivi e comportamentali presenti insieme alla disabilità intellettiva. In Italia i servizi per la salute mentale e quelli per le persone con ritardo mentale sono spesso separati, provvedendo un semplice servizio assistenziale,                           ma spesso non terapeutico, a questi ultimi. Inoltre i criteri diagnostici utilizzati sono spesso orientati alla popolazione generale, la disabilità intellettiva potrebbe variare il modo in cui queste patologie concomitanti vengono manifestate e comunicate (Castellani, & al., 2010).

 

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Foto credits: http://www.superando.it

Per maggiori informazioni sulla Terapia cognitivo-comportamentale consulta uno dei nostri precedenti articoli: https://easypsi.wordpress.com/2017/11/26/terapia-cognitivo-comportamentale-un-valido-aiuto-per-il-paziente-oncologico/ 

Nella pratica i tipi di intervento attuabili sono:

  • Psicoeducazione: istruire i paziente ai diversi tipi di emozioni esistenti, come riconoscerle e come interpretare un evento scatenante un’emozione. Questo avviene con l’utilizzo di fotografie rappresentanti espressioni emotive e veri e propri training contestualizzati in cui vengono simulate diverse situazioni.
  • Training specifici in cui vengono insegnate le abilità deficitarie. Ad esempio training di abilità sociali tramite l’insegnamento delle abilità sociali, l’osservazione di modelli di comportamento, simulazioni di ruolo di situazioni tipiche, feedback del comportamento emesso e generalizzazione delle abilità apprese in contesti reali.
  • Ristrutturazione cognitiva: semplificata in base al livello di ritardo. L’obiettivo è quello di modificare le credenze errate del mondo e di sé stessi. Si auspica il raggiungimento più o meno autonomo di una interpretazione alternativa che attivi risposte emotive adattive con una generalizzazione in contesti esterni.

 

Ancora molto è da studiare e da fare in Italia, ma basandosi sulla letteratura straniera i risultati sembrano promettere buoni risultati sull’efficacia del trattamento della depressione tramite intervento cognitivo-comportamentale in persone con disabilità intellettiva (Koslowki, & al., 2016). Nel futuro prossimo si prevedono e si auspicano grandi avanzamenti in questo campo.

Bibliografia
  1. VV. (2013). DSM-5 Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, American Psychiatric Association, Raffaello Cortina Editore.
Castellani A., La Malfa G., Manzotti S., Monchieri S., Nardocci F., Ruggerini C. (a cura di )“La Promozione della salute mentale nella disabilità intellettiva”, Ed. Erickson, 2010
Koslowski, N., Klein, K., Arnold, K., Kosters, M., Schutzwohl, M., Salize, H., J., Puschner, B. (2016). Effectiveness of interventions for adults with mild to moderate intellectual disabilities and mental health problems: systematic review and meta-anaysis. The British Journal of Psychiatry,1-6,
Whitehouse R.M., Tudway J.A., Look§ R. and Kroese B.S. “Adapting Individual Psychotherapy for Adults with Intellectual Disabilities: A Comparative Review of the Cognitive–Behavioural and Psychodynamic Literature” Journal of Applied Research in Intellectual Disabilities 2006, 19, 55–65
Sitografia
http://www.adnkronos.com
http://www.disabili.com

 

Dott. Verena Fracasso