Studi in letteratura hanno sottolineato il ruolo dell’occupazione lavorativa come determinante per la propria qualità di vita (DeBoer, et al., 2015), in quanto dallo status occupazionale gli ex pazienti sembrano trarre benefici, oltre che finanziari, per l’autostima e le relazioni sociali. Perciò, dato il miglioramento negli ultimi anni nell’individuare precocemente e trattare efficacemente i malati comportando un aumento di sopravvivenza, sempre più interesse è stato posto sugli interventi da attuare per facilitare gli ex pazienti a rientrare nel mondo del lavoro.
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Per questo sta crescendo l’interesse in letteratura nell’evidenziare l’impatto di interventi vocazionali ai pazienti. Un intervento vocazionale consiste nell’utilizzare tecniche finalizzate al lavoro. Vi sono delle tecniche centrate sulla persona, incoraggiandola nel ritorno al lavoro; inoltre vi sono tecniche centrate sull’impiego che pongono l’obiettivo di migliorare il luogo di lavoro (ad esempio: orari flessibili, carico di lavoro alleggerito) e la comunicazione tra le figure professionali presenti in quel contesto e i professionisti della salute (importante per consentire un ritorno all’ex paziente senza eventuali pregiudizi da parte dei colleghi sulle sue capacità dopo la malattia).
Molti fattori entrano in gioco quando si tratta di reintegro nel mondo del lavoro, alcuni ex pazienti sperimentano difficoltà fisiche, emotive e sociali per tempi prolungati, ad esempio affaticamento, deficit cognitivi, ansia e depressione. In aggiunta difficoltà sembrano derivare anche dal luogo di lavoro in sè, ad esempio tipo di mansione svolta, colleghi e loro credenze sulla malattia. Perciò, ogni persona avrà un percorso individualizzato, non tutti potranno o vorranno tornare a svolgere la medesima occupazione svolta prima della malattia. Hewitt & al. (2006) riportano che il lavoro dopo il tumore non è più scelto esclusivamente su basi sociali ed economiche, importantissimo sembrerebbe essere il contesto dei propri valori e priorità; perciò, le persone potrebbero decidere di cercare un lavoro che comporta un minor guadagno economico ma maggiore soddisfazione personale. Sulla base di ciò, Wells & al. (2012), propongono che sia più appropriato un intervento vocazionale in cui gli ex pazienti vengano supportati nell’identificare e raggiungere gli obiettivi legati alla propria idea di lavoro, piuttosto che un semplice aiuto a reintegrare la precedente occupazione.
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Una revisione degli studi presenti in letteratura del 2015, indica come promettente un intervento multidisciplinare. Infatti, interventi fisici (ad esempio camminare, sollevare il braccio), psico-educazionali (hanno l’obiettivo di insegnare ai pazienti tecniche su come affrontare alcuni problemi quotidiani, ad esempio ho una visita e la macchina si rompe, che passaggi devo compiere per arrivare ad una soluzione alternativa?), medici (ad esempio interventi chirurgici e terapia farmacologica) e vocazionali insieme, sembrerebbero migliorare il percorso di ritorno al lavoro per gli ex pazienti.
In Italia un importante intervento in merito è rappresentato dall’Associazione Italiana Malati di Cancro AIMaC in collaborazione con ADAPT e l’Università di Milano denominato: Pro-Job, Lavorare durante e dopo il cancro: una risorsa per l’impresa e per il lavoratore. Un team di lavoratori volontari formato e coordinato da un avvocato, un oncologo clinico e uno psicologo/psicoterapeuta ha l’obiettivo di promuovere strumenti al fine di migliorare la consapevolezza dell’azienda e delle sue figure professionali dei bisogni sia dell’individuo che dell’organizzazione. Questa auspica di garantire un buon reintegro nel mondo del lavoro delle persone guarite dal tumore.
Molto ancora è da fare in questo campo, ma la letteratura offre spunti pratici utili per porre la base al fine di promuovere interventi efficaci.
Dott. Verena Fracasso