ADOLESCENZA E TUMORE: UN BINOMIO DIFFICILE

Come sappiamo il periodo dell’adolescenza rappresenta quella fase di passaggio da una condizione infantile ad una condizione di vita adulta vera e propria. L’adolescente si trova ad affrontare un periodo delicato della propria esistenza: si trova a dover affrontare i cambiamenti del proprio corpo, a scoprire sé stesso e il mondo che lo circonda, cerca di scoprire la propria identità e muove i primi passi verso l’indipendenza della famiglia.

Ma cosa accade quando un tumore si manifesta o viene diagnosticato durante questa fase? Ricevere una diagnosi di tumore durante l’adolescenza è complesso perché la diagnosi mette in pausa tutto: trasforma la quotidianità, l’aspetto fisico, le relazioni con gli altri e la sicurezza in sé stessi. Da questo momento la persona ammalata e la sua famiglia devono imparare a convivere con una patologia che scatena il fantasma della morte.

Secondo il rapporto AIRTUM del 2012 l’incidenza di tumori riscontrati in Italia nel periodo 2002 – 2008 in ragazzi tra i 15 e 19 anni corrisponde a 269 casi per milione/anno: cioè ogni anno si ammalano circa 780 adolescenti.B95uf8WCMAECKO8

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Sempre nel medesimo rapporto si riscontra che i tumori più frequenti negli adolescenti sono i linfomi di Hodgkin (65 casi per milione l’anno), seguiti da tumori della tiroide (31 per milione), leucemie (30 per milione), tumori delle cellule germinali (27 per milione), linfomi non-Hodgkin (22 per milione), tumori del sistema nervoso centrale (18 per milione), sarcomi delle parti molli (17 per milione) e tumori dell’osso (12 per milione).

Gli adolescenti e i giovani adulti con tumore sono pazienti con bisogni e caratteristiche particolari: sono molte le difficoltà e gli scompensi che si possono riscontrare.  Infatti tutti i cambiamenti che questa fase della vita comporta, nel caso di tumore vanno a sommarsi alle difficoltà che tale malattia determina. Tra le principali problematicità si riscontrano quelle di accettare e adattarsi alla malattia e alle cure, a problemi di compliance alle terapie, al dolore, ai possibili interventi chirurgici mutilanti. Tutto ciò rende la transizione alla fase adolescenziale ulteriormente più complessa e sofferta.

Alcuni studi mostrano come gli adolescenti presentano un più elevato rischio di sperimentare stress psicologico con manifestazioni di tristezzaansia e frustrazione in risposta alle varie fasi della malattia. Inoltre possono sperimentare paura per tutti i cambiamenti corporei che vivono come la perdita dei capelli, forti perdite di peso e in alcuni casi amputazioni.

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Credits: Veronica Garavaglia (Progetto Giovani)

Anche la ricerca dell’autonomia e il distacco dai genitori è ostacolato dalla tendenza di questi ultimi all’ iper coinvolgimento e all’iperprotettività. Ciò spesso comporta una perdita di autonomia da parte degli adolescenti con tumore: essi non sono indipendenti né dal punto di vista economico né da quello decisionale. A volte quindi questi adolescenti rischiano di regredire ad una vera e propria dipendenza totale dalle figure genitoriali.

L’adolescente con tumore si trova, tra le altre cose, costretto a sperimentare anche una serie di problemi sociali, come la mancata frequenza scolastica, le carenti o nulle relazioni con i compagni e amici, la sospensione di attività sportive o ludiche. Questo apre le porte a un vissuto di isolamento.

Difficilmente un adolescente malato oncologico si presenterà all’osservazione dello psicologo in quanto non presenta una psicopatologia conclamata. La diagnosi però potrebbe far adottare al paziente modalità di adattamento fisiologico inadeguate o insufficienti che quindi richiedono un intervento di supporto. Risulta quindi fondamentale che in questa fase sia il medico a prospettare al giovane un intervento di supporto psicologico. È infatti importante che l’attenzione ai bisogni psicologici sia inserita in un progetto integrato di presa in carico globale del paziente, dove il personale medico collabori attivamente con psicologi e psicoterapeuti, altrimenti c’è il rischio che ad un possibile rifiuto delle cure del corpo si aggiunga il rifiuto per le cure della psiche.

L’obiettivo quindi del lavoro psicologico è quello di guidare l’adolescente ad accettare la patologia oncologica, sostenere e promuovere il suo sviluppo dell’identità e la sua maturazione psichica e agevolare il transito ad un’identificazione con la nuova immagine corporea, caratterizzata dai cambiamenti legati alla fase puberale e post puberale e dai cambiamenti imposti dalla malattia.

Dott. Eros Vallenari

 

Bibliografia:
Bertolotti, M. (2013). Aspetti psicologici: non per tutti lo stesso percorso. Epidemiol Prev37(1 suppl 1), 1-296.
Ferrari, A., Veneroni, L., Clerici, C. A., Spreafico, F., Terenziani, M., Luksch, R., … & Massimino, M. (2013). Gli adolescenti ammalati di tumore: il “Progetto Giovani” dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano. Recenti Prog Med104, 10-6.
Ramphal  R., Aubin S., Czaykowski P., De Pauw S., Johnson A., Mckillop S., Szwajcer D. (2016).  Adolescent and young adult cancer: principles of care. Current Oncology, 23 (3):204-209.
Veneroni L., Ferrari A., Albasi C., Massimino M., Clerici C. A. (2015). Adolescenza e psiconcologia: problematiche psicopatologiche e di trattamento nel lavoro clinico con adolescenti con tumore. Psichiatria e Psicoterapia, 3, 212-231
Sitografia:
http://www.stateofmind.it/2017/01/tumore-in-adolescenza-psicologia/
http://www.stateofmind.it/2017/08/psiconcologia-adolescenti/
http://www.registri-tumori.it/cms/

TERAPIA COGNITIVO-COMPORTAMENTALE: UN VALIDO AIUTO PER IL PAZIENTE ONCOLOGICO

I trattamenti psicologici a cui possono essere sottoposti pazienti oncologici sono davvero molti, tutti molto diversi per metodi ed intenti, ma tutti potenzialmente equamente efficaci ed adattabili a specifici casi.

Come ogni branca della psicologia anche l’orientamento Cognitivo-Comportamentale propone una serie di validi interventi. Questo specifico indirizzo psicologico si propone di modificare la relazione tra emozioni, pensieri e comportamenti dimostrando come i problemi emotivi possano essere prodotti da credenze disfunzionali. Nello specifico, la sfera d’azione della terapia Cognitivo-Comportamentale è la cognizione. Per cognizione si intendono i processi implicati nella conoscenza, ma anche tutti i processi che guidano il comportamento. Queste capacità sono considerate deteriorate quando i deficit in un particolare ambito sono maggiori rispetto a quelli statisticamente comuni per persone con medesima età ed istruzione.

Ad oggi le neoplasie sono malattie diffuse, basti pensare che la maggior parte di noi ha dovuto affrontare questo male, anche se non in prima persona, e i cambiamenti che si innescano coinvolgono l’ambiente sociale, familiare e personale. Viene quindi spontaneo porsi alcune domande.
Quali sono i principali problemi psicologici a cui un paziente oncologico può andare in contro?

I disturbi dell’adattamento rappresentano i quadri di sofferenza psicologica più frequentemente diagnosticabili nei pazienti con cancro, avendo una prevalenza del 30-35%;

Nel percorso di cura previsto per la neoplasia, sintomi come affaticamento, insonnia, ansia, depressione e deterioramento cognitivo sono i più comuni e provocano l’abbassamento della qualità della vita dei pazienti. In particolare l’ansia è uno dei primissimi sintomi a comparire, infatti è presente nel 10-15% dei casi (la nausea e il vomito anticipatori anche nel 40-50% dei casi) e si modifica durante lo sviluppo del percorso terapeutico senza mai sparire: l’ansia della diagnosi, della terapia medica, per la famiglia, l’ansia della morte. Questo costante stato di stress, accostato ad una serie di terapie mediche molto invasive, porta alla modificazione dei ritmi di vita, delle modalità di adattamento psicologico (come la persona si adegua all’ambiente) e dei cicli di sonno. Tutto ciò può indebolire un corpo ed una psiche già provati, minando il percorso verso la guarigione e portando alla patologia depressiva la cui prevalenza è compresa tra il 6% ed il 30% a seconda della fase di malattia.

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Quali possono essere gli interventi a cui sottoporsi?

Ricerche rilevanti nel settore hanno evidenziato una correlazione positiva tra la ricerca attiva di supporto sociale e il superamento delle problematiche legate alla malattia. Allo stesso modo, strategie di adattamento psicologico positive (in inglese “coping”) possono portare migliori strategie per affrontare situazioni problematiche.

Gli schemi psicologici (serie di pensieri, emozioni, atteggiamenti e comportamenti che si attivano automaticamente e velocemente), su cui si basano i comportamenti positivi sopra descritti, sono davvero importanti ed influenzano il nostro rapporto con la realtà soprattutto in situazioni problematiche. Proprio gli schemi psicologici sono al centro di alcune delle possibili applicazioni della Terapia Cognitivo-Comportamentale:

  • Il Training Cognitivo: Weisman (1988) progettò una terapia che si proponeva di prevenire le possibili complicanze psicologiche nel decorso della malattia. Cercando di identificare, tra quelli con diagnosi recente, i pazienti a rischio di sofferenza emozionale, per offrire loro aiuto prima che si sviluppasse un’eventuale psicopatologia;
  • La Terapia Psicologica Adiuvante: Moorey e Greer (1994) misero a punto una terapia che potesse essere somministrata come completamento a l’intervento medico e che risultò molto efficace nel trattamento di ansia e depressione. Tale terapia prevedeva lo studio dei diversi modi di far fronte a situazioni stressanti per cercare di sviluppare le strategie di adattamento migliori a seconda delle problematiche psicologiche del paziente;
  • Gruppo di Supporto/Auto-Aiuto: nato nei paesi anglosassoni, la caratteristica principale è la partecipazione di più pazienti ad incontri periodici, con o senza la guida di uno psicologo. Questa terapia è molto consigliata in una fase di approfondimento terapeutico e non nelle fasi iniziali. Può portare ad un miglioramento delle capacità di comunicazione e di espressione emozionale.

In conclusione, la terapia Cognitivo-Comportamentale è trattamento scientificamente efficace che, tramite la modificazione degli schemi mentali personali, vuole portare ad un miglior adattamento psicologico per affrontare nel migliore dei modi le principali problematiche portate dalla malattia.

Dott.ssa Levorato Ilenia

Bibliografia
AIRC (Associazione Italiana Ricerca Cancro). Le statistiche sul cancro.
Bower, J.E. (2008). Behavioral Symptoms in patients with breast cancer and survivors. American Society of Clinical Oncology, 26, 768-777.
Golfried, M.A. (2000). Dalla terapia cognitivo-comportamentale all’integrazione delle psicoterapie. Collana Edoardo Giusti Editore.
Moorey, S., Greer, S., Watson, M., Baruch, J.D.R., Robertson, B.M., Mason, A., Rowden, L., Tunmore, R., Law, M., Bliss, L.M. (1994). Adjuvant psychological therapy for patients with cancer: Outcome at one year. Psycho.Oncology, 3, 39-46.
Wilfley, D.E., Welch, R., Stein, R.I. (2002). A randomized comparison of group cognitive-behavioral therapy and group interpersonal psychotherapy for the treatment of overweight individuals with binge-eating disorder. Arch Gen Psychiatry,  59(8):713-721.
Wortman, C.B., Dunkel-Schetter, C. (1979). Interpersonal relationship  and cancer: a theoretical analysis. Journal of social issues. Wiley online library.

ONCOLOGIA E L’USO DELLA TERAPIA DI GRUPPO

La terapia di gruppo, a prescindere dall’orientamento del terapeuta, ha riscosso considerevole attenzione nel trattamento delle persone affette da patologie neoplastiche, come riportato in maniera evidente a partire dagli inizi del secolo scorso e, sopratutto, negli ultimi quindici anni. (Costantini, A., Grassi L., 2004)

In letteratura possono essere evidenziati almeno tre modelli di intervento, riconducibili ad altrettante categorie di gruppi terapeutici:

  1. Gruppi di informazione-educazione: il cui scopo è quello di aumentare la conoscenza della malattia e del suo trattamento, migliorando il senso di controllo e la percezione di efficacia personale sia nei pazienti che nei loro familiari. Permette anche di aumentare l’aderenza al regime terapeutico riducendo lo stress successivo alla diagnosi. Questi gruppi psicoeducazionali sono piuttosto brevi e condotti con uno stile didattico, con interazione limitata a eventuali domande poste dai partecipanti. Sono particolarmente indicati per pazienti (e per i loro famigliari) a rischio genetico o che da poco hanno ricevuto una diagnosi di cancro.
  2. Gruppi con focus cognitivo: è rivolto a pazienti già in cura, al fine di migliorare le abilità e le strategie di risposta alla malattia, nonché di gestione di alcuni sintomi. Questi gruppi, generalmente alquanto brevi (12-15 sedute) e strutturati, sono condotti in modo interattivo, dove viene stimolata un’aperta espressione e consapevolezza delle proprie reazioni alle emozioni ed una comunicazione autentica all’interno del gruppo.
  3. Gruppi interpersonali di “recupero” o di “supporto” ad orientamento esistenziale (Costantini e Grassi, 2002): si rivolge a pazienti in fase avanzata della malattia, dove questa è progredita nonostante le cure. In genere sono gruppi duraturi (oltre sei mesi), che permettono l’espressione autentica dei sentimenti e delle preoccupazioni personali. I contenuti non sono strutturati e vengono proposti dai pazienti. Alcuni temi fondamentali sono: l’ansia della morte, l’isolamento, le responsabilità, la costruzione di legami, l’espressione dei sentimenti, la ricostruzione delle priorità nella vita, l’accordarsi con i dottori, il placare il dolore (Spiegel e Classen, 2000). La terapia “supportivo-espressiva” viene condotta da un terapeuta esperto di questioni di gruppo, i quali promuovono la coesione tra i membri ed incoraggiano l’espressione delle emozioni personali primarie (angoscia, paura, tristezza) per un miglior adattamento emozionale. Il terapeuta favorisce altresì il mutuo supporto tra i membri del gruppo, una revisione delle priorità, il recupero della progettualità esistenziale e la possibilità di affrontare il significato personale del vivere e del morire. L’espressione delle emozioni più forti in un ambiente supportivo permette di accrescere il sostegno sociale, costruendo forti legami tra i membri.
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Credits: cmtf.it

Quindi in sintesi possiamo dire che la terapia di gruppo in oncologia, in particolare quella di tipo supportivo, permette:

  • di migliorare le proprie abilità di reazione alla malattia, nel momento della diagnosi e lungo l’evoluzione della stessa, confrontando le diverse modalità di reazione dei membri del gruppo, anche ricorrendo all’aiuto di persone sopravvissute;
  • di valorizzare il significato delle relazioni interpersonali, area focale dell’intervento. Il gruppo prende parte alla costruzione di un nuovo senso di sé del soggetto, di nuove priorità e responsabilità, di un nuovo equilibrio funzionale per far fronte alla difficoltà.
  • un contesto privilegiato di condivisione e analisi di difficoltà comuni, incoraggiando i partecipanti ad assumere un ruolo attivo nel loro trattamento, facendoli sentire liberi di fare domande. Ciò favorisce un senso di supporto e di universalità che allevia la sofferenza del sentirsi isolati ed impotenti rispetto ai propri problemi.
  • di contrastare i sentimenti di impotenza e inutilità sociale mediante il reciproco aiuto tra i membri.
  • migliora la capacità di comunicazione ed espressione emozionale sia nel “qui e ora” del gruppo che nella realtà esterna, assolvendo la funzione di contenitore di tutte le angosce (Grassi, Biondi, Costantini 2003; Costantini e Grassi, 2004).

In conclusione, la complessità delle patologie neoplastiche coinvolge il soggetto in ogni aspetto della sua vita, rendendo quindi evidente l’importanza dell’adottare un approccio multidimensionale. Interventi di tipo psicologico e psicoterapeutico, siano essi individuali o di gruppo, devono pertanto essere usati come una parte integrante dell’assistenza medica e mai in modo indipendente. Profili di cura integrati vanno dunque intesi sia come continuità e coerenza tra ospedale-territorio (rete), ma anche come integrazione delle cure mediche e psicologiche, al fine di favorire un miglioramento della qualità della vita in tutte le fasi della patologia: diagnosi, evoluzione, risoluzione. (Grassi, L., Nanni, M. G. e al 2011).

Bibliografia

Classen, C., Butler, L. D., Koopman, C., Miller, E., DiMiceli, S., Giese-Davis, J., … & Spiegel, D. (2001). Supportive-expressive group therapy and distress in patients with metastatic breast cancer: a randomized clinical intervention trial. Archives of general psychiatry, 58(5), 494-501.
Costantini, A., & Pontalti, C. (2000). Psicoterapia di gruppo a tempo limitato: basi teoriche ed efficacia clinica. McGraw-Hill.
Costantini A., Grassi L., (2002) “Gli interventi di gruppo”, in Bellani M. Marasso G., Amadori D., Orrù W., Grassi L., Casali P., Bruzzi P., Psiconcologia, Masson, Milano.
Costantini, A., Grassi L., (2004). Psicoterapia di gruppo in oncologia.  Famiglia oggi. n. 5, San Paolo, Roma.
Grassi, L., Biondi, M., & Costantini, A. (2003). Manuale pratico di psico-oncologia. Il pensiero scientifico.
Grassi, L., Nanni, M. G., Caruso, R., Sabato, S., Rossi, E., & Biancosino, B., (2011). I disturbi psichici secondari al cancro. Noos, 17, 23-58.
Ministero della Salute, (2010). PIANO ONCOLOGICO NAZIONALE 2010/2012.
Spiegel, D., & Giese-Davis, J. (2002, September). Reduced emotional control as a mediator of decreasing distress among breast cancer patients in group therapy. In International Congress Series (Vol. 1241, pp. 37-40). Elsevier.
Spiegel, D., Kraemer, H., Bloom, J., & Gottheil, E. (1989). Effect of psychosocial treatment on survival of patients with metastatic breast cancer. The Lancet, 334(8668), 888-891.
Spiegel, D. (2001). Mind Matters-group therapy and survival in breast cancer. The New England Journal of Medicine. Vol.345, n.24, pp1767-1768.,
Sitografia:
http://www.stpauls.it/fa_oggi/ (Psicoterapia di gruppo in oncologia di Anna Costantini e Luigi Grassi, 2004)
http://www.psicoterapia.it/rubriche ( Psicologia e cancro: l’importanza della terapia di gruppo di Martina Lemmi)
http://www.angelaserra.com/pdf (Il cancro tra corpo e mente – Angela Serra)

 

TUMORE E PSICO-ONCOLOGIA

La malattia oncologica genera una vera e propria “crisi” nel paziente e nei suoi familiari. Dopo la diagnosi di cancro tutto cambia significato e gli equilibri vengono profondamente alterati:

  • la propria identità ed integrità fisica è a rischio, con alterazioni del vissuto corporeo a causa di interventi chirurgici invasivi e degli effetti collaterali delle terapie, che fanno sentire “traditi dal proprio corpo debilitato”;
  • sul piano sociale c’è una tendenza all’isolamento, accompagnato dal timore di essere stigmatizzati;
  • il ruolo in famiglia cambia improvvisamente, diventa quello del “malato” o “colui che necessita cure”.
  • si perde il proprio ruolo lavorativo e produttivo nella società.
  • viene meno ogni certezza sul futuro, si è incapaci di far progetti, e si percepisce un senso di profonda instabilità;
  • si palesano paure legate alla sofferenza ed alla morte.

(Spiegel e Giese-Davis, 2002)

Le risorse psicologiche di cui dispone il soggetto potrebbero non bastare per far fronte a questa situazione a dir poco stressante. Sappiamo che il corpo è profondamente interconnesso con la psiche, e che forti alterazioni emotive possono influenzare il benessere organico. Infatti, dalla letteratura scientifica emerge che il 25-30% delle persone colpite da cancro presenta un quadro di sofferenza psicologica, caratterizzata in particolare dalla presenza di ansia, depressione e da difficoltà di adattamento, in grado di influenzare negativamente la qualità della vita, l’aderenza ai trattamenti medici e la percezione degli effetti collaterali, la relazione medico paziente, i tempi di degenza, di recupero e di riabilitazione. (Ministero della Salute, 2010)

In questo frangente interviene la psico-oncologia, un termine generico che sta ad indicare un’area specifica delle disciplina che si occupa degli aspetti psicologici legati alle malattie oncologiche. Tale disciplina si basa sulla premessa che il disagio psicologico manifestato dalla persona nel corso della malattia non sia strettamente connesso ad una sua vulnerabilità o predisposizione psicopatologica, quanto piuttosto alla condizione di crisi che la malattia, come evento stressante generalmente imprevisto, porta con sè. (Grassi L., Biondi M., Costantini A., 2003)

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Credits: rhizome.it

La psico-oncologia ha come scopo quello di:

  • alleviare le sofferenze legate ai momenti stressanti della malattia;
  • potenziare o discutere nuove strategie per pazienti e familiari per fronteggiare la situazione di malattia;
  • gestire gli aspetti emotivi collegati alle varie fasi del percorso di cura: rabbia, tristezza, paura, angoscia e senso di colpa; che a loro volta possono assumere la forma di sintomi ansiosi (agitazione, difficoltà di concentrazione, insonnia) e/o sintomi depressivi (tono dell’umore flesso, inappetenza, apatia) (Spiegel e Giese-Davis, 2002);
  • gestire le terapie mediche (spesso aggressive) e le conseguenze a livello fisico. Spesso emergono le preoccupazioni legate al cambiamento dell’immagine corporea: “si vedrà la protesi?”, “i capelli mi ricresceranno?”;
  • gestire le conseguenze sociali e interpersonali della malattia, alleviando nel paziente i sentimenti di alienazione, isolamento, impotenza ed il sentirsi trascurato.

Questi obbiettivi si possono ottenere tramite colloqui individuali o di gruppo.

Dott.ssa De Bortoli Michela

Bibliografia
Grassi, L., Biondi, M., & Costantini, A. (2003). Manuale pratico di psico-oncologia. Il pensiero scientifico.
Ministero della Salute, (2010). PIANO ONCOLOGICO NAZIONALE 2010/2012.
Spiegel, D., Kraemer, H., Bloom, J., & Gottheil, E. (1989). Effect of psychosocial treatment on survival of patients with metastatic breast cancer. The Lancet, 334(8668), 888-891.
Spiegel, D., & Giese-Davis, J. (2002, September). Reduced emotional control as a mediator of decreasing distress among breast cancer patients in group therapy. In International Congress Series (Vol. 1241, pp. 37-40). Elsevier.
Sitografia:
http://www.psicoterapia.it/rubriche ( Psicologia e cancro: l’importanza della terapia di gruppo di Martina Lemmi)
http://www.angelaserra.com/pdf (Il cancro tra corpo e mente – Angela Serra)

COME SI COMUNICA LA NEOPLASIA?

In questa sede vogliamo analizzare ed approfondire le dinamiche comunicative che si instaurano nei vari microsistemi di vita durante e dopo la diagnosi di neoplasia. La disciplina che ci viene in contro in tutto ciò è la psicologia della Comunicazione che si può definire come lo studio della comunicazione in chiave psicologica.

A partire dalla seconda metà del Novecento, la comunicazione è diventata oggetto di interesse di numerose discipline tra cui la psicologia, ma, prima di muovere allo studio della comunicazione in chiave psicologica, occorre definire questo termine: nel dizionario (Zanichelli, Bologna, 1979), alla voce comunicazione (voce derivata dal termine comune: agg., che appartiene a più persone) si legge “atto del comunicare, trasmettere ad altri”. La comunicazione quindi può essere vista come condivisione.

 

Come analizzare la comunicazione in relazione alla neoplasia?

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Comunicare una diagnosi di tumore, trasmettere le informazioni necessarie in merito ai trattamenti medici necessari, parlare con i propri familiari delle dinamiche che inevitabilmente si modificheranno nella quotidianità e captare le corrette informazioni da parte dei media, sono le principali problematiche che dobbiamo affrontare.

Dividiamo la comunicazione nell’ambito della neoplasia in tre macro categorie per fare un po’ di ordine:

 

  • La comunicazione con il professionista

“La conoscenza completa e condivisa, da parte del malato, della propria condizione è un caso piuttosto raro mentre tende a generalizzarsi la dissimulazione” (Morelli, 1999). Con questa frase di apertura vogliamo iniziare la discussione su questo tema estremamente interessante controverso.

Per molti pazienti la modalità di comunicazione con il medico risulta uno dei fattori chiave per una corretta somministrazione ed impegno nella terapia. La comunicazione chiara e precisa riguarda le dinamiche della cura e le implicazioni fisiche e mediche post-trattamento, con grandissima importanza attribuita allo stile comunicativo del professionista (Juraskova et al., 2006).

In uno studio condotto da Mystakida et al. (2004) appare chiaro come le modalità comunicative riguardo a malattie gravi dipendano dal paese di somministrazione delle cure e dal background culturale del paziente. Ad oggi medici ed infermieri sono molto più diretti che in passato e, i professionisti sanitari anglosassoni sembrerebbero essere tra le figure sanitarie giudicate maggiormente empatiche. In ogni caso, secondo delle interviste condotte tra pazienti neoplasici la comunicazione con il professionista risulta maggiormente soddisfacente quando riguarda la malattia in generale, mentre risulta insoddisfacente se prende in considerazione il caso particolare del paziente considerato. La comunicazione sembrerebbe quindi dover essere chiara, precisa ma impersonale.

Dal punto di vista del medico, circa il 90% dei professionisti del settore (oncologi, medici di base, medici ospedalieri del nord Italia) ritiene che sia meglio decidere con i familiari cosa comunicare al malato di cancro, mentre il 50% ritiene negativo, su un piano psicologico, comunicare al malato una prognosi sfavorevole. Il codice deontologico del 1989 sottolinea una certa discrezionalità del medico nella comunicazione con il paziente: “il medico potrà valutare, segnatamente in rapporto con la reattività del paziente, l’opportunità di non rivelare al malato, o di attenuare, una prognosi grave o infausta, nel qual caso questa dovrà essere comunicata ai congiunti” (Codice Deontologico 1989 art. 39 comma III). Tuttavia ad oggi tale discrezionalità lascia spazio ad un obbligo di informazione: “le informazioni riguardanti prognosi gravi o infauste (…) devono essere fornite con circospezione, usando terminologie non traumatizzanti e senza escludere mai elementi di speranza” ( Cod. deontologico 1995, art.29 IV comma). L’obbligo di informare il paziente decade quando la volontà del paziente è quella di non conoscere la verità sulla sua condizione.

  • Neolpasia e Mass-Media

I Mass-Media hanno indubbiamente un fortissimo potere sullo spettatore, talvolta influenzando involontariamente pensieri ed azioni quotidiane. Questa influenza però può essere sicuramente sia positiva che negativa. Uno studio di Anderson et al. (2009) dimostra come, grazie ad una campagna di prevenzione sul tumore alla cervice, la percentuale di donne che si sottoposero ad uno screening specifico aumentò del 27%.

Al contrario Lewinson et al. (2008) analizzando gli archivi della BBC dal 1998 al 2006 e verificarono come le informazioni veicolate non furono omogenee. Infatti si riscontrarono degli argomenti preferenziali di cui riportiamo la classifica:

  1. Tumore al seno;
  2. Tumore alla prostata;
  3. Farmaci;
  4. Lifestyle;
  5. Propensione genetica al tumore;
  6. Cibo e bevande e come influenzano la neoplasia.

Inoltre dei 60 paesi coinvolti nelle ricerche mandate in onda ci fu una citazione massiva della casistica esistente in Regno Unito. Questo genere di comunicazione potrebbe risultare ovviamente fuorviante per un utente televisivo, portato a pensare che la tematica della neoplasia si riduca a poche categorie d’indagine.

  • La comunicazione in famiglia

Spesso le dinamiche familiari si modificano profondamente, minando la sincerità tra i membri del gruppo. Spesso si verifica così che il malato non voglia pesare su gli altri membri del nucleo domestico e non comunichi problemi, disagi, perplessità ed insicurezze.

Da un altro punto di vista appare evidente il ruolo dei familiari nella scelta di comunicare o meno la diagnosi al malato. In un’indagine realizzata in Spagna, il 73% dei familiari di malati terminali ha risposto negativamente circa la possibilità che il loro congiunto venisse informato della diagnosi (Morelli, 1999).

 

In conclusione la comunicazione è un elemento estremamente delicato che coinvolge la comunità per quanto riguarda la comunicazione di massa, l’ambiente sanitario e professionale, e l’ambiente familiare. Si viene a creare così il “circuito della comunicazione”.

Dott.ssa Levorato Ilenia

Bibliografia
Anderson, J.O., Mullins, M.R., Siahpush, M.,Spittal, M.J., Wakefield, M. (2009). Mass media campaign improves cervical screening across all socio-economic groups. Health Education research, 24, pp. 867-875.
Gotcher, M.J., Edwards, R. (2009). Coping Strategies of Cancer Patients: Actual Communication and Imagined Interactions. Health Communication, vol.2.
Juraskova, I., Butow. P., Sharpe, L., Campion, M. (2007). ‘What does it mean?’ uncertainty, trust and communication following treatment for pre-cancerous cervical abnormalities. Psycho-Oncology, 16, pp. 525-533.
Kyriaki, M., Efi, P.,Eleni, T., Katsouda, E., Lambros, V. (2003). Cancer information disclosure in different cultural contexts. Supportive Care in Cancer, 12, pp 147–154
Lewinson, G., Tootell, S., Roe, P., Sullivan, R. (2008). How do the media report cancer research? A study of the UK’s BBC website. British Journal of Cancer, 99, pp. 569-576.
Morelli, G. (1999). Il dilemma della comunicazione di diagnosi e prognosi al paziente oncologico: malattia e morte si possono “dire”?. INformazione Psicologia Psicoterapia Psichiatria, n° 36-37, pgg. 26-45.